Dario Braga

Poco meno di un anno fa entravo in Consiglio comunale di Casalecchio al termine di una intensa e appassionante campagna elettorale che aveva portato al ballottaggio il candidato Sindaco del PD.

Non sto a ripercorrere quell’avventura, ma la ricordo come uno dei periodi più intensi ed entusiasmanti della mia vita. Uno sforzo titanico che, nell’arco di poche settimane consentì di costruire il progetto che abbiamo chiamato “insieme per Casalecchio”. Una coalizione eterogenea che, tuttavia, aveva uno scopo comune: condurre a un ricambio profondo del governo della città, nei modi e nelle priorità, pur nel contesto di una collocazione politica di centro-sinistra.

Era una sfida “epocale” con un obiettivo ambizioso: ribaltare, se possibile, un esito già scritto per la partita per il Sindaco: Bisognava attrezzarsi e in poco tempo, per portare, da subito, la proposta sui contenuti importanti – urbanistica, scuole, commercio, sanità, rifiuti, sicurezza – senza preoccuparsi di quanto questi o quelli avevano detto o fatto nelle legislature precedenti. Sapevo che la sfida era anche interna alla coalizione che si andava formando: si trattava di fare convergere sullo stesso progetto forze, e anche storie personali, che avevano caratteristiche di incompatibilità, vuoi perché ideologicamente distanti e vuoi perché anagraficamente distanti.

Il risultato è quello che conosciamo: delle cinque liste, solo due sono entrare in Consiglio: la lista civica e quella di centrosinistra per Casalecchio, oltre al sindaco non eletto, che, non avendo una sua lista è “gruppo misto”. Perché non ho aderito a una delle due? La risposta è semplice, sono stato votato da 4385 persone di Casalecchio e quindi anche da tutte le persone che avevano votato altre liste. Non era, e non è, sensato aderire a una delle due liste.

Ma questa è storia. Il senso di questo messaggio non è il passato ma il futuro. Sento il bisogno personalmente e anche come Sindaco non eletto, di ridefinire il contorno del mio impegno.

Ma prima parliamo dell’esperienza in Consiglio. E’ vero, il Consiglio Comunale ha molte somiglianze ma anche molte differenze con gli organi di governo in cui ho lavorato in passato (Senato accademico, consiglio di ammnistrazione, giunta di Ateneo, direzione di Istituti e di Collegi).

Il consiglio non è un luogo in cui si prendono delle decisioni. Il Consiglio è un luogo dove si ratificano delle decisioni dandone evidenza pubblica. Il che è ovviamente una cosa buona.

Il meccanismo di formazione del Consiglio consegna alla maggioranza uno strumento di governo molto robusto: è praticamente impossibile (e, infatti, in un anno non è mai avvenuto) che una delibera consigliare sia stata, anche solo marginalmente, modificata a seguito di un intervento delle minoranze. Intendiamoci. Il meccanismo elettorale garantisce la governabilità del Comune: solo stravolgimenti politici profondi o azioni legalmente inappropriate possono condurre a modifiche della compagine del Sindaco che può contare su 15 consigliere/i su 24. Quindi la partecipazione propositiva delle minoranze è irrilevante: il “lavoro di Sisifo”. Al più si può sperare che qualche buona modifica/integrazione “rimasta fuori dalla porta”, possa poi, in qualche nella forma, essere fatta propria dalla maggioranza e “rientrare dalla finestra”.

Quello che è invece ampiamente praticato, è lo streaming. Lo streaming fa sì che ogni consigliera/e possa contare sul suo momento di visibilità e di comunicazione, a volte anche più di uno. Non conoscevo questa caratteristica. Una bella cosa perché dà trasparenza al funzionamento della macchina, ma anche una trappola infernale perché molte persone, ho poi scoperto, parlano non al Sindaco, o a consiglio, ma a chi è collegata/o o che si collegherà magari in un secondo momento. Molte volte mi sono chiesto “ma perché diavolo XX tira fuori questi argomenti qui che siamo 4 gatti?” Poi ho capito che XX non stava parlando né al Sindaco né al Consiglio ma alla sua particolarissima bolla di riferimento.

Il ragionamento non è molto diverso nelle commissioni, che semplicemente anticipano, nei modi e nelle conclusioni, quello che poi verrà ratificato dal Consiglio discutendo e votando, con voto pesato, ogni singola delibera. Visto il rapporto numerico, è semplicemente impossibile che una delibera approvata in Commissione non sia poi approvata in Consiglio. L’ho definita una liturgia: un percorso obbligato che lascia spazio nullo alla condivisione delle decisioni. Fanno eccezione gli ordini del giorno, dove qualche forma di convergenza è (faticosamente) raggiungibile. La condivisione non è un obiettivo, e nemmeno le minoranze se l’aspettano: interventi in commissione e in consiglio sono per lo più mirati a soddisfare le aspettative della comunità di riferimento. Come mi è stato ricordato più volte: chi vince le elezioni governa, chi le perde fa opposizione e si prepara alla competizione successiva.

E qui arriviamo al punto. Come singolo consigliere, la mia capacità di “fare opposizione” (costruttiva) alle decisioni della maggioranza è molto limitata, così come molto limitata è la mia capacità di proposta. La mia azione è inefficace.

Quindi, in base a quanto avverrà nei prossimi mesi, deciderò se proseguire il “lavoro di Sisifo” in Consiglio comunale, o se non sia piuttosto il caso di interrompere la mia esperienza di consigliere di minoranza a Casalecchio di Reno per dedicare il tempo (il tempo, ricordo, è risorsa non rinnovabile) e le mie competenze ad attività esterne al Consiglio comunale focalizzando le iniziative su temi della contemporaneità che hanno impatto sulla città, e sul rapporto tra la città e il territorio.

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